Le zecche imperiali non vanno infatti confuse con quelle provinciali (dette impropriamente coloniali), che battevano moneta circolante solo su piccole frazioni dei territori dell'impero[1] e che, con la riforma monetaria di Aureliano, furono abolite. Si trattava di centinaia di piccole zecche locali, presenti soprattutto nelle province orientali, che emettevano monete di bronzo.[2]
Nel periodo repubblicano la centralizzazione era la regola. Solo eccezionalmente zecche mobili al seguito dell'esercito coniavano monete: ad esempio durante le guerre di Silla, Lucullo, Pompeo in Oriente o durante le guerre civili, sia quelle di Cesare contro Pompeo, sia in quelle successive.[4]
Sotto Domiziano, a causa di un terribile incendio, la zecca di Roma fu spostata sul Celio, dove rimase fino alla fine del III secolo.[5] Da allora fu spostata più volte.[6]
Con la riforma di Augusto, il Senato emise le monete di bronzo (da cui il segno SC = Senatus Consulte), e la zecca imperiale conia quelle d'oro e d'argento.[7]
La spiegazione di questa eccezione di Lugdunum è ricondotta a due ipotesi:
alcuni ipotizzano il massiccio bisogno di numerario della Gallia, conquistata di recente e molto popolosa.
più probabilmente, la permanenza prolungata in Gallia di Augusto tra il 15 a.C. ed il 13 a.C., oltre alla vicina presenza dell'esercito sul Reno, occupato nelle campagne nella Germania, possono giustificare la creazione di questa zecca.
La centralizzazione non escluse la presenza di piccole zecche provinciali per la coniazione dei numerari di minor valore ma di peso elevato, come il sesterzio di bronzo che pesa circa 25g.
La crisi del III secolo e la militarizzazione del tardo Impero romano provocarono un primo decentramento e moltiplicarono le zecche vicine alle zone ad alta concentrazione di militari, dove la richiesta di monete era elevata. Inoltre le usurpazioni provocarono la nascita di zecche effimere, come Ambianum (Amiens) durante l'usurpazione di Magnenzio o Rotomagus (Rouen) con quella di Alletto.
Con la riforma monetaria di Aureliano del 274, quest'ultimo cercò di frenare la svalutazione della moneta agendo principalmente su due leve: sul valore dei nominali e sull'organizzazione delle zecche, che si erano affiancate a quella principale di Roma.[1] Si trattava di una serie ridotta di zecche imperiali, create durante il periodo della crisi del III secolo e collocate soprattutto in posizioni strategiche.[9] E se da una parte favorì il potenziamento di zecche provinciali imperiali, in modo che potessero operare in modo continuativo, non saltuario come accadeva prima, dall'altra parte ridusse i volumi della zecca di Roma, che impiegava un numero di addetti ormai imponente e difficile da gestire sul piano sociale, chiudendone ben 7 officine su 12, tra quelle preposte alla coniazione di moneta di mistura.[10]
La riforma monetaria di Diocleziano iniziata dal 294 vide una seconda ondata di creazione di zecche, che erano distribuite nelle diverse province, ad eccezione della Hispania: Londra, Cartagine, Aquileia, Tessalonica, Nicomedia e Alessandria. Infine le successive capitali imperiali della tetrarchia favorirono l'apertura di qualche zecca supplementare.
Le invasioni del V secolo posero fine all'attività delle zecche occidentali e della zona danubiana.
Funzionamento delle zecche
Una zecca implicava uno o più laboratori dove le monete venivano fisicamente realizzate. Per emettere una serie, il laboratorio incideva due coni (o matrici), uno per il dritto con il profilo dell'imperatore, l'altro per il rovescio con un disegno (il tipo) ed un'iscrizione (la legenda con i quali battere il tondello).
La materia prima, oro, argento, rame, stagno per il bronzo, proveniva dalle miniere, principalmente in Hispania (Spagna) e Dacia (Transilvania), fonti che andarono a esaurirsi verso il II secolo, e sempre più dal recupero dei prodotti della conquista di paesi ricchi: anche questa fonte si esaurì dopo la conquista della Dacia nel 105. La carenza di metalli preziosi, causa della crisi monetaria del III secolo, fu superata agli inizi del IV secolo con confische effettuate a spese dei templi pagani. Inoltre il recupero dei metalli continuò fondendo nuovamente le monete prese con le imposte.
Dai reperti arrivati a noi, la qualità della produzione è nell'insieme buona, con solo saltuari difetti di coniazione:
monete spaccate o con fessure sui bordi,
tipi fuori centro o spostamento dell'orientamento tra le due facce,
rilievo scarso dovuto all'usura dei conii.
Le tecniche della produzione delle leghe di rame ed argento erano padroneggiate perfettamente: si coniavano i tondelli mescolando il rame parzialmente indurito con l'argento ancora fluido, per ottenete pezzi con la superficie argentata.
Nel IV secolo la produzione dei solidi era controllata così accuratamente prima dell'emissione che si otteneva una precisione del peso di ogni pezzo di 1/10 di grammo.
Nel III e nel IV secolo, la moltiplicazione del donativum ai soldati ad ogni salita al trono o per ogni grande avvenimento dell'Impero era spesso l'occasione per l'emissione di quantità di nuove monete, espressione della propaganda imperiale. I temi sono estremamente vari:
celebrazione delle vittorie, realizzazioni o virtù dell'imperatore ed a volte quelle della moglie o dei suoi figli e probabili successori.
veri e propri slogan politici: CONCORDIA MILITUM: la concordia dei soldati. FIDES EXERCITUS: la fedeltà dell'esercito; PAX AETERNA: pace eterna, etc.
Segni di zecca
Ogni zecca generalmente segnava il rovescio dei pezzi di sua produzione con l'abbreviazione del suo nome. Se esistevano più officine, erano precisate tramite una lettera, latina o greca, che in genere precedeva la sigla della zecca, ad esempio A.L, B.L, C.L, D.L per le quattro officine di Lugdunum, o la serie P(rima), S(ecunda), T(ertia), Q(uarta) per altre zecche.
Dal IV secolo i segni di zecca si complicarono con l'impiego di prefissi o di suffissi. Ad esempio la zecca di Tessalonica (TS o TES) usò anche:
SMTS, per S(acra) M(oneta), moneta sacra, cioè intoccabile (in altri termini, la tosatura è vietata).
TESOB, per OB(ryziacus), cioè in oro puro, segno di certificazione introdotta da diverse zecche dal 368.
Elenco delle zecche imperiali romane
Le zecche monetarie conobbero a volte delle interruzioni momentanee della loro attività, secondo la situazione politica locale. La tabella che segue non ne tiene generalmente conto. Durante il Basso Impero, le zecche attive (quelle centrali, non quindi provinciali) furono le seguenti:
AQ (AQuileia); SMAQ (Sacra Moneta AQuileiae); AQA (AQuileia, officina "A"?); AQB (AQuileia, officina "B"?); AQP (AQuileia Prima officina) o AQUILP o SMAQP; AQMOS (AQuileia Moneta Secunda officina) o AQS o AQUILS o SMAQ o SMAQS; AQT (AQuileia Tertia officina) o AQΓ (numerale greco) o AQUILT o SMAT o TAQ (altre forme per terzia officina); AQOB (AQuileia OBrizyacum = oro depurato, puro); AQPS (AQuileia PuStulatum = argento puro); AQUIL; un'Aquila entro ghirlanda; COM OB AQ (COMes OBrizyacum AQuileiae = preposto all'oro puro); MAQ (Moneta AQuileiae); AVIL.
^abcdeMaila Chiaravalle, La produzione delle zecche di Milano e di Ticinum, in Catalogo della Mostra "Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.)", a cura di Gemma Sena Chiesa, Milano 1990, p.47.
Ermanno A. Arslan, La moneta a Milano in età costantiniana: una città al centro dell'Impero e una zecca chiusa, in L'editto di Milano e il tempo della tolleranza. Costantino 313 d.C., Mostra di Palazzo Reale a Milano (25 ottobre 2012 - 17 marzo 2013), a cura di Paolo Biscottini e Gemma Sena Chiesa, Ed. Mondadori Electa, Milano 2012, pp. 34–39.
Gian Guido Belloni, La moneta romana, Ed.Carocci, Roma 2004, ISBN 88-430-2105-2.
Maila Chiaravalle, La produzione delle zecche di Milano e di Ticinum, in Catalogo della Mostra "Milano capitale dell'Impero romani (286-402 d.C.)", a cura di Gemma Sena Chiesa, Milano 1990.
Vincenzo Cubelli, Aureliano imperatore: la rivolta dei monetieri e la cosiddetta riforma monetari, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1992 [1][collegamento interrotto].
(FR) Georges Depeyrot, Le Bas Empire romain, économie et numismatique (284-491), Paris, Éditions Errance, 1987, pp. 140, ISBN 2903442401
(FR) La monnaie romaine : 211 av. J.-C. - 476 apr. J.-C., Paris, Éditions Errance, 2006, pp. 212, ISBN 2877723305