L'abate Pietro Chiari appartenne all'ordine dei gesuiti fino al 1747. Abbandonata la congregazione, tra il 1747 e il 1762 fu a Venezia con il titolo di poeta di corte del duca Francesco III d'Este, però senza tenere alcuna carica pubblica. Dal 1761 al 1762 fu direttore della Gazzetta Veneta. Dal 1762 trascorse gli ultimi anni di vita nella sua città natale.
In questo periodo scrisse circa una sessantina di commedie, che lo portarono spesso a scontrarsi, almeno fino al 1761, con Carlo Goldoni. Nel 1762, anche il sacerdote e letterato Giuseppe Manzoni pubblicò un libello, intitolato Riflessioni critiche sopr'alcune proposizioni trovate nel libro intitolato Il genio e i costumi del secolo corrente proposte al celebre sig. abate Chiari, con il quale criticava il giudizio dell'abate su quali testi fossero più adatti per l'educazione dei giovani.[1]
Fu anche autore di numerosi libretti d'opera. Parte dei suoi lavori furono pubblicati nelle raccolte Commedie (Venezia 1756, Bologna 1759-62), Nuova raccolta di commedie (Venezia 1762) e Tragedie (Bologna 1792).
Tra i suoi lavori principali spiccano le Lettere ad una "dama di qualità", un'opera realizzata, in modo unitario, attraverso una lunga serie di lettere, scritte con improntitudine, sagacia e satira, volte a raccontare pregi e difetti, vizi e virtù dell'uomo antico e di quello moderno[2], implicita critica a le "Lettere Critiche" di Giuseppe Antonio Costantini, pubblicate sempre a Venezia nel '700.
^Piero Lucchi, «Manzoni, Giuseppe» in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 69, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2007.
^Lettere scelte di varie materie piacevoli, critiche, e uridite scritte da una dama di qualità dall'Abbate Pietro Chiari, 3 voll., de Bonis, Napoli 1764.